martedì 12 aprile 2011

Un nuovo sguardo sulla religione: dibattito


Interessante scambio di opinioni con Benedetto Ippolito in materia di fenomeno religioso, a cui replico con ulteriori riflessioni, nell'àmbito di un dibattito sempre più coinvolgente ed attuale:
Dice bene Benedetto Ippolito: “Noi ci troviamo ad avere a che fare con una realtà sociale in cui non soltanto la religione è tornata a guidare la valutazione collettiva e a caratterizzare le scelte politiche, ma in cui la convivenza tra persone che hanno dottrine e stili di vita diversi non potrà che aumentare”.

In effetti, la religione è tornata sorprendentemente ad avere un’influenza notevole sulla vita quotidiana in gran parte dei Paesi del mondo, con un revirement stupefacente ove si consideri – per contro – di quanto spazio si siano dotati per facta concludentia il relavitismo, il secolarismo, la globalizzazione rispetto ad ogni credo religioso.
Il fenomeno religioso, dunque, anche agli occhi di chi – pur non credente – vi posi lo sguardo, appare sempre di più come un fenomeno sociologicamente e socialmente influente, come un’agenzia di pensiero e di aggregazione che partecipa profondamente alla storia contemporanea ed alla crescita ed allo sviluppo dell'uomo e della società: un “laico”, sanamente tale, non può non ammetterlo sotto questo punto di vista non fideistico.
Non c’è da meravigliarsi, a questo punto, se le diverse religioni – ciascuna con la sua tipicità ed identità – entrino in frizione tra di loro: i fedeli dell’una o dell’altra, infatti, sono pur sempre uomini, come tali fragili applicatori dei princìpi di fratellanza, di tolleranza e di diritto naturale (tra parentesi, anche questo concetto non è poi del tutto univoco nello spazio e nel tempo…).
Per ragioni storiche e di tormetosa maturazione interna, tuttavia, non tutte le religioni si sono messe sullo stesso piano in tema di riconoscimento rispettoso delle altre e dei diritti di libertà.
Al di là dei documenti giuridici collettivi, cui ho fatto cenno nel mio precedente intervento, invero, dobbiamo rilevare come – ad es. – nelle Chiese cristiane, massime in quella cattolica, dal concetto “extra Ecclesiam nulla salus” si è transitati ad una maggiore comprensione e solidarietà rispetto alle altre fedi, in cui si riconosce, nella forma misteriosa del vento dello Spirito, una scintilla del divino.
Giovanni Paolo II di v.m. si è spinto molto avanti in tal senso, al punto da chiedere perdono per le non poche occasioni in cui, nei secoli, la Chiesa si è macchiata di persecuzione nei confronti di altri.
Credo si possa dire con buona approssimazione, dunque, che – da parte del mondo cristiano – non siano ravvisabili, oggi come oggi, intenti egemonici, men che meno compulsivi o costrittivi.
Dall’altra parte, è possibile dire altrettanto per altre confessioni? Non è stato il XX secolo (e lo è pure l’attuale) il secolo più caratterizzato dalle persecuzioni anticristiane? Di carattere puramente religioso, in alcuni casi, di carattere religioso-etnico in molti altri.
Di questo secondo tipo, a partire dall’eccidio degli Armeni (tuttora negato dai Turchi) sino alla “pulizia etnica” nella ex-Jugoslavia o alle leggi di alcuni Stati della Federazione Indiana che vietano la conversione dall’induismo ad altri culti ed il proselitismo dei cristiani o alla legge sulla blasfemia in Pakistan (che tutela gli islamici contro i cristiani, cui è negata anche la capacità di testimoniare) o alla confessionalità integrale-escludente di taluni Paesi buddisti (come la Cambogia).
Del primo tipo, tanto per restare alla cronaca, gli eccidi dei cattolici in Iraq, dei copti in Egitto, dei cristiani in Libano (erano il 50% nel 1945, oggi si sono ridotti al 30%) e a Timor e Dilì, dei “cristeros” in Messico, dei cristiani nelle Filippene del Sud o in Indonesia. Per non parlare delle lugubri persecuzioni nei Paesi sovietici e comunisti.
Condivido – e desidero condividere – che “la grande sfida umana della religione è quella di stimolare la persona a crescere nella razionalità, non nella superstizione e nel fondamentalismo. E questa crescita significa pensare che ogni tradizione culturale e religiosa sia un modo umano d’intendere, magari imperfettamente o talvolta perfino errato, lo stesso mistero che il cristiano conosce pienamente grazie alla Rivelazione”; un pensiero di Benedetto Ippolito brillante e pieno di entusiasmo.
Non mi nascondo, però, che in questo mondo della disuguaglianza delle religioni e delle loro interpretazioni dei valori fondamentali di libertà persista la dicotomia precristiana tra la libertà dei Greci e la sudditanza dell’Imperatore di Persia, tra occidente razionale ed oriente assolutista, di cui Lepanto e la battaglia di Vienna sono stati evidenti successori.
Sono mentalità diverse, profondamente diverse, spesso incompatibili; quella occidentale, in accelerata perdita di identità e tradizioni e succube di un sottilmente diffuso relativismo, in una fase di debolezza e di quasi volontaria incapacità di difesa, per eccesso di rispetto (la questione del crocifisso discussa dalla Corte Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo è paradigmatica, come l’esclusione dell’origine giudaico-cristiana dalla “costituzione” europea); quella orientale in vivace crescita, anche demografica, involutiva nei costumi e aggressiva, fondamentalista nell'intento di conquistare (pure attraverso le democratiche leggi dei Paesi occidentali, ritenute per ciò stesso imbelli).
La speranza è una delle virtù teologali per il cattolico: di questa vedo ammantato l’ottimismo del mio cortese interlocutore; mi auguro che basti, insieme alla fede ed alla carità, a cui – seppure nella declinazioni di culti, riti e credenze differenti – si ispirino anche i non cristiani ed i non credenti, nel rispetto reciproco almeno “umano”: strada stretta ed impervia, ma non di meno degna di essere percorsa.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.