sabato 31 ottobre 2009

I conti della PRAVDA

Nel rimbombante silenzio degli amici (a world in a word!) di centro-destra, occupati in ben altre, utili contese à l'interieur, interrompo io il mio riserbo di privato osservatore delle cose saronnesi per riprendere un argomento bisognoso di chiarezza, dacché l'abituale trasformismo sinistro lo avvolge in una nebbia rossastra con pretesa di verità (che, da quelle parti, si chiama ancora "pravda" Правда, l'indimenticabile quotidiano sovietico, ovviamente autorevole, di cui ha sicuramente nostalgia la polimorfa sinistra saronnese, già riunitasi in compatta falange per la revanche).
Il dottor Luciano Porro, com'è noto, ha occupato un seggio in Consiglio Comunale ininterrottamente dal 1980, tranne la parentesi del quadriennio 1995-1999, sicché per definizione dev’essere un ottimo conoscitore della struttura e delle regole del bilancio della città, al quale per almeno 24 volte ha contribuito con il suo voto alternativamente favorevole o contrario, a seconda della parte politica in cui militava.
Appare molto sospetto dunque che il Dott. Porro prenda posizione su questo argomento solo ora che – per l’appunto - è il candidato Sindaco della sinistra: eppure è lo stesso Consigliere Comunale di lungo corso, a cui si dovrebbe domandare come mai non abbia denunciato dettagliatamente, negli anni in cui sarebbero stati compiuti i presunti misfatti economico-finanziari, quella che lui ritiene infondatamente una cattiva gestione economica. Non s’è è mai accorto prima che si stavano spendendo troppi denari? Come mai, negli ultimi dieci anni, dal suo comodo seggio di opposizione in consiglio comunale, non ha fatto fuoco e fiamme?
Delle due l’una: o non è vero quello che oggi dice, o era colpevolmente distratto.
Mi meraviglia, quindi, leggere affermazioni così superficiali e strumentali come quelle da Lui rilasciate ad un noto settimanale: ”Sì, so che il Comune non ha più soldi ma bisognerebbe chiedere al Commissario e al Sindaco dei 10 anni e all’ex Assessore al bilancio. Evidentemente gli errori sono nell’aver speso più di quanto era disponibile” (sic): incredibile, in due righe ha demolito la consecutio temporum, il Sindaco di dieci anni (Lui di dieci giorni) ed il suo Assessore, per conseguenza i Revisori dei Conti e due Consigli Comunali che hanno controllato e, infine, anche la Sig.ra Commissaria!
Ma Il Dott. Porro si rivela così in preda ad un’allarmante confusione sui conti pubblici e sul sistema della contabilità di un Comune: non è possibile, infatti, spendere più di quanto sia disponibile! Il bilancio, infatti, è logicamente fondato su principi garantisti: le uscite non possono superare le entrate e nessuna spesa può essere effettuata se non c’è la previa copertura; gli amministratori, in altre parole, quando non c’è disponibilità di danaro, non possono spendere (non si può, p.es., bandire una gara d’appalto se l’opera non è finanziata; anzi, nel bando è obbligatorio indicare la fonte realmente disponibile di finanziamento; se nel bilancio di previsione si è programmata una spesa, ma poi, nel corso dell’anno, non si è verificata l’entrata a copertura, quella spesa viene rinviata o dev’essere finanziata con altri fondi, sempreché vi siano; sennò non se ne fa nulla).
Orbene, in dieci anni, le mie Amministrazioni non hanno mai speso ciò che non avevano da spendere e non hanno mai assunto alcun debito fuori bilancio, ossia impegnato somme di cui non ci fosse disponibilità; risulta forse al Dott. Porro che sia mai stata portata in Consiglio Comunale una qualche delibera per coprire postumamente debiti assunti senza la necessaria provvista di fondi? Gli unici debiti che ha il Comune sono i mutui, cioè soldi chiesti in prestito alle banche, da restituirsi negli anni con i ratei (peraltro, negli ultimi anni, le leggi finanziarie hanno reso sempre più difficile, se non impossibile, ricorrere ai mutui e, nonostante ciò, fummo rimproverati di non assumerne abbastanza…).
La verità è un’altra, ben documentata da atti pubblici e conoscibili da chiunque:
con gli obblighi derivanti dal patto di stabilità – che noi abbiamo sempre puntualmente rispettato – la rigidità del bilancio si è vistosamente accresciuta; da una parte, è vietato aumentare le entrate tributarie; dall’altra, si sono ridotte al lumicino alcune importanti entrate (come gli oneri di urbanizzazione) a causa del pressoché totale azzeramento di ogni attività edilizia (alla faccia della cementificazione), mentre la spesa corrente (tra cui quella prevalente per il personale) non diminuisce.
In queste circostanze, che attanagliano i bilanci di tutti i Comuni italiani, i soldi a disposizione sono pochi e devono essere anzitutto destinati alle spese fondamentali; sarà così – temo – per un bel po’ di anni, poiché i riflessi della crisi economica attuale, le difficoltà derivanti da sempre maggiori competenze scaricate sui Comuni, i divieti di attingere ai mutui impediranno le politiche di sviluppo e costringeranno ad occuparsi della sussistenza.
Tra l’altro, l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, voluta per un mezzo dal Governo Prodi e per l’altra metà dal Governo attuale si è convertita in una beffa per i Comuni virtuosi, come Saronno, dove l’aliquota era da anni stata da noi ridotta al minimo: infatti, i trasferimenti statali a pareggio non solo non pareggiano la precedente entrata, ma consolidano questa al gettito precedente all’abolizione; ciò significa che i Comuni dove l’aliquota era al massimo continueranno a ricevere un rimborso alto, mentre quelli che avevano un’aliquota bassa (la minima per noi), riceveranno un rimborso basso: fortunate le Amministrazioni che tassavano di più i loro concittadini.
Il discorso dovrebbe continuare a lungo, ma non posso ovviamente abusare dell’attenzione altrui, anche perché l’argomento si farebbe molto tecnico; pronto e disponibile – conti alla mano - ad ogni altra precisazione, invito gentilmenteo chi dà frettolosi e demagogici giudizi a studiare almeno gli elementari rudimenti del bilancio pubblico, per non incorrere in sciagurati equivoci (come confondere l’avanzo di amministrazione con l’utile), i cui effetti sarebbero davvero incresciosi qualora costoro dovessero governare la città: ho l’impressione che essi stiano mettendo le mani avanti, per giustificare preventivamente i loro inevitabili insuccessi con la vana accusa ad altri di essere stati spreconi e per questo scopo abusano cinicamente dell’opinione pubblica, già di per sé preoccupata dalla crisi economica e non desiderosa di altri deprimenti menagramo.
In altra occasione ci si potrà occupare di residui passivi, mancati collaudi, enormi avanzi di amministrazione, risparmi non contabilizzati, smodato ricorso alle consulenze ed alla progettazione esterne, amplissimo contenzioso, dimostrativi dell’incapacità ad amministrare di chi ci ha preceduto, incluso l’attuale aspirante Sindaco (si veda, in proposito, il mio intervento del 2 giugno 2009 su questo mio blog http://pierluigigilli.blogspot.com/2009/06/proposito-di-danaro-lasciato-dalle.html).
A mio avviso, però, sarebbe molto più utile e costruttivo concentrarsi sulla finanza comunale del futuro, che in epoca di vacche magre dev’essere affrontata con rigore e realismo, senza vacue promesse, in attesa che il federalismo fiscale possa incominciare a dare i suoi frutti.
Comunque, per darci un po' di buonumore di fronte a tanta albagìa e a dimostrazione della consapevolezza dello spessore delle suggestive allusioni altrui, fa piacere ritornare con la mente all'inconfondibile verve di Gioacchino Rossini, che spumeggiante fa cantare a Basilio nel Barbiere di Siviglia:
La calunnia è un venticello
Un'auretta assai gentile
Che insensibile sottile
Leggermente dolcemente
Incomincia a sussurrar.
Piano piano terra terra
Sotto voce sibilando
Va scorrendo, va ronzando,
Nelle orecchie della gente
S'introduce destramente,
E le teste ed i cervelli
Fa stordire e fa gonfiar.
Dalla bocca fuori uscendo
Lo schiamazzo va crescendo:
Prende forza a poco a poco,
Scorre già di loco in loco,
Sembra il tuono, la tempesta
Che nel sen della foresta,
Va fischiando, brontolando,
E ti fa d'orror gelar.

Ma siccome il Re è nudo e smascherato, l'epilogo sarà ben diverso per il "meschino calunniato" rossiniano: la gente, oggi, sa ben distinguere la verità e non beve più la verità preconfezionata, la "pravda" Правда pret-à-porter.
Buona domenica ai miei 21 lettori.

venerdì 30 ottobre 2009

Al quinto piano della Casa di Santa Marta


Ho conosciuto oggi il Cardinal Bernard Agré, Arcivescovo emerito di Abidjian (Costa d’Avorio), che ha introdotto i lavori di un’interessante conferenza-dibattito sull’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI presso l’Università degli Studi Ecampus.

In un francese aureo e con una simpatia contagiosa, il presule ha trattato magistralmente il corposo testo papale, ma non ha mancato di tenere viva l’attenzione degli astanti con gustosi aneddoti: una coincidenza fortùita ha collegato il Cardinale al quinto piano della Casa di Santa Marta, l’edificio a ridosso delle mura leonine, prospettante su Via di Porta Cavalleggeri, dove i partecipanti all’elezione del Papa hanno trovato decoroso alloggio in occasione dell’ultimo Conclave.
Ricordava Mons. Agré di essere finito per sorteggio all’ultimo piano, insieme ai Cardinali elettori Ratzinger (Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della fede), George (Arcivescovo di Chicago), Schönborn (Arcivescovo di Vienna) - tre continenti in pochi metri quadrati - e raccontava del clima di amicizia e di scherzosa bonomia creatosi tra di loro; anche il Prefetto Ratzinger, apparentemente così serioso, si univa a questa atmosfera, tra i tanti “papabili”; un “compagno di provvisoria prigionia” che di lì a poco sarebbe salito sul soglio di Pietro e al quale il Cardinal Agré aveva inviato, tanti anni prima, il primo sacerdote da lui ordinato per imparare dal vivo la teologia dal grand professeur sapiente pastore dell’Arcidiocesi di Monaco di Baviera.
E proprio in questo mese d’ottobre, rientrato in Vaticano per il Sinodo della Chiesa d’Africa, il Cardinal Agré, nuovamente ospitato nella Casa di Santa Marta – senza le restrizioni del Conclave – si è visto assegnare, casualmente e per un’altra volta, una stanza al quinto piano, dove aveva vissuto l’esperienza da conclavista, senza perdere il buon umore insieme ai suoi “amici del piano”, tra cui l’imminente Pontefice.
Con la semplicità dei dòtti e dei saggi, nella sua prolusione, il Cardinal Agré ha concluso coniugando la caritas, l’amore fraterno e vicendevole di quei giorni, con la veritas, che li ha accompagnati nelle insidie dell’elezione del successore di Pietro: unione formidabile di consonanza tra persone della più varia provenienza e di fedeltà alla verità assoluta, in cui la caritas si è dimostrata la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera, come Benedetto XVI insegna nelle prime righe della sua ultima enciclica.

domenica 25 ottobre 2009

Il solco


Quando il solco è evidente, è meglio dividersi nella babele delle frammentazioni o compattarsi come in un gregge?
Dilemma antico quanto il mondo, in cui l’una e l’altra soluzione presentano aspetti pro e contro.
La divisione, per certo, porta chiarezza e rinnovata unità d’intenti all’interno delle compagini che ne derivano.
Il compattarsi, d’altra parte, conferma la forza primigenia e le dà nuovo slancio.
La mente umana, tuttavia, conosce un’insidia che si chiama riserva mentale: per convenienza, per tattica, per debolezza ci si sottomette all’unione, come in un gregge, ma si conservano i dubbi, pronti ad affiorare paradossalmente nel momento del successo, più che nelle difficoltà.
Dunque: “in dubiis, libertas”: un’aperta e leale differenziazione può essere l’occasione per superare l’ipocrisia, per placare civilmente gli animi, per ritrovare – nel decorso terapeutico del tempo – le ragioni dello stare insieme.
Non tutto il male vien per nuocere: può essere un potenziatore.
Niente di nuovo sotto il sole, che oggi ha illuminato e scaldato indifferente le chiacchiere in piazza, dopo una bella
processione di popolo.

venerdì 23 ottobre 2009

L'attualità della Croce

Domenica 25 ottobre ricorre la 276ª Festa del Trasporto, ul festùn da Sarònn che vedrà sfilare nelle strade cittadine il prezioso Santo Crocifisso.

Una tradizione plurisecolare, che merita di essere custodita e valorizzata, in un’epoca in cui, purtroppo, sul crocifisso sono stati inchiodati qualche settimana fa sette giovani cristiani del tormentato Darfur, in Sudan, a coronamento dell’ennesima persecuzione in atto in questo paese ad opera del fanatismo shaaritico islamico promosso dal presidente Al Bashir, accusato a marzo dal Tribunale internazionale del­l’Aja per crimini contro l’uma­nità


Fa impressione che in un mondo secolarizzato, in cui – almeno nella parte c.d. occidentale – la libertà di religione è riconosciuta in modo tanto ampio da digerire con indifferenza anche la réclame ateistica sugli autobus del trasporto pubblico in molte città progredite, ci siano ancora dei martiri, che danno la vita per testimoniare la loro fede.

Non dimentichiamo, dunque, Chi viene trasportato nella nostra festa: non è folclore, ma è segno della fede dei nostri avi, giunta sino a noi.

Buona festa del Trasporto.

I capponi di Renzo?


“Perché ho rammentato questo simpatico episodio di stupidità collettiva? Perché dalla stupidità è difficile guarire e temo una ricaduta esiziale”
(Vittorio Feltri, “Il Giornale”, 23 ottobre 2009, pag. 3).

Souvenir applicabile anche a Saronno, - fatte le debite proporzioni - dopo la tumultuosa scorribanda elettorale di quest'anno?

Vedarèmm...

giovedì 22 ottobre 2009

Al "ciocchìn" Franco Erminio Galli


La consegna della Civica Benemerenza della Ciocchina è una celebrazione laica in cui lo spirito civico e la riconoscenza manifestano il meglio della saronnesità in prossimità della grande festa religiosa del Trasporto, da secoli massima espressione comunitaria dei Saronnesi.
Quest’anno, per obiettive ragioni di opportunità (il governo cittadino è seguìto dalla Commissaria Straordinaria dott.ssa Giuliana Longhi), la consegna si è limitata ad una sola benemerenza, che la Giunta Comunale, su mia proposta, aveva decretato all’unanimità con la deliberazione n. 167 del 3 giugno 2009 in memoriam di Franco Erminio Galli, da poco deceduto.
È stato per me emozionante, questo pomeriggio, poter rievocare – su cortese invito della Commissaria Straordinaria – la figura di Franco Erminio Galli, in un’affollata sala del Camino di Villa Gianetti.
Franco Erminio Galli è stato l’occhio dei Saronnesi per più di cinquant’anni, in cui, armato della sua macchina fotografica, ha fissato nell’obiettivo Saronno, i suoi cittadini, gli eventi di ogni genere, i luoghi – anche quelli che ora non ci sono più -.
Una passione smisurata per la fotografia e per la sua città che, seppure nella sua istintiva ritrosia, lo aveva reso notissimo a tutti, partecipante immancabile di ogni manifestazione saronnese.
Uomo mite, cortese e modesto, dal passo svelto, di una gentilezza d’altri tempi, era presente, lo scorso anno, alla cerimonia di consegna della Ciocchina; una presenza talmente abituale e attiva, che ci si è meravigliati di non vedere più negli eventi successivi; una malattia breve lo ha rapito, dopo alcuni anni vissuti nel rimpianto di avere perso l’adorata moglie.
Di lui ho molti ricordi personali, soprattutto la delicatezza con cui mi faceva avere discretamente le fotografie dei miei figli, che spesso mi accompagnavano in qualche manifestazione ufficiale; me le portava in Municipio col sorriso e con affetto, che spero di essere riuscito a ricambiare quando si rendeva confidente e mi partecipava le sue nostalgie.
Ha lasciato un archivio sterminato, che permetterà ai Saronnesi di conoscere il loro recente passato in immagini a modo loro storiche: la cronaca saronnese ritratta in modo oggettivo, com’è l’immagine fissata nella pellicola.
La sua famiglia, generosamente, vorrebbe che questo patrimonio resti alla città, tramite il Comune: è un desiderio che non può non essere condiviso e che mi auguro sia presto realizzato; in tal modo, Franco Erminio Galli, oltre a godere del premio eterno dopo una vita schiva e gentile, continuerà a vivere nelle sue fotografie e nella memoria dei Saronnesi, di cui ha preservato decenni di storia.
Il suo occhio non si è spento, ha solo cambiato dimensione; per noi che continuiamo ad essere saronnesi, è motivo di orgoglio averlo apprezzato e, oggi, premiato con il massimo riconoscimento civico; che sia d’esempio a tutti, lui uomo mite che oggi, se fosse stato presente, sarebbe inevitabilmente arrossito per l’onore di un premio assolutamente meritato.

giovedì 15 ottobre 2009

Disciplina e lealtà


Finalmente un discorso chiaro: “Non ci saranno spaccature nel Partito, se poi qualcun altro farà scelte diverse non farà certo parte del partito” - dichiara un autorevole Coordinatore del partito di maggioranza relativa in città.
Un corretto richiamo alla disciplina - che vi dovrebbe essere in ogni raggruppamento sociale - ed alla lealtà – che contraddistingue ogni associato affidabile e sincero.
Un partito gerarchico e militarizzato, dunque? Fondato sull’ordine interno e sulle bacchettate ai devianti eterodossi?
Non mi pare proprio.
Nella mia ormai trascorsa esperienza politica ho assistito, piuttosto, in un passato che profuma di recente, ad un’anarchica interpretazione del concetto di libertà, in forza della quale ognuno si è sentito libero – appunto – di fare quel che gli passava per la testa anche nei confronti dei colleghi associati nella medesima formazione partitica.
Senza alcuna reazione (implicitamente vietata per ragioni superiori), nel silenzio ovattato e misterioso di chi – evidentemente – tutto puote e, per soprammercato, dispensa cadeaux e premi ai più discoli.
Disciplina e lealtà come difetti, non pregi.
La normalità non è più di moda.

mercoledì 7 ottobre 2009

Il nuovo conformismo


Non conosco, per ora, le motivazioni giuridiche con le quali la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del c.d. “Lodo Alfano”; sicuramente, i Giudici della Consulta – che sono degli ammirevoli pozzi di scienza giuridica – hanno interpretato in modo rigoroso i principii costituzionali coinvolti nella delicata materia.
Mi preoccupa, invece, lo spirito giacobino con cui taluni hanno già esultato per una decisione che riguarda anzitutto il diritto, ai livelli più elevati e che non è un colpo di ghigliottina contro qualcuno.
Ormai, nel nostro Paese in perenne transizione, la politica si è risolta in uno sterile esercizio per essere contro; in particolare contro una sola persona, che ha avuto il difetto di entrare nella politica stessa, per di più accompagnato da un notevole successo popolare, mentre – da parvenu (così è considerato dagli ”addetti ai lavori”), se ne sarebbe dovuto restare buono buono a curare le sue aziende.
Certamente, costui può piacere e non piacere; commette spesso gaffes clamorose, non sa usare il politichese, ha una certa burbanza da baùscia meneghino, si compiace troppo di sé stesso.
Però è lì per effetto di elezioni democratiche, in cui vale ancora il principio one man, one vote: come solennemente proclama l’art. 3 della Costituzione, il principio di eguaglianza.
Ho sempre più il sospetto, che si sta trasformando in una sensazione fastidiosa, che – invece – da parte di taluni commentatori perennemente contro si sia convinti dell’ineguaglianza strutturale degli Italiani, che si dividerebbero in due categorie: quelli che si fanno abbindolare; quelli che sanno resistere.
I cittadini “comuni” rientrerebbero nella prima categoria, composta – evidentemente – da una scialba massa di ignoranti, politicamente analfabeti, che si fanno turlupinare da una propaganda martellante e mistificatrice; una maggioranza, insomma, di minus habentes, carne da cannone per il furbo del momento.
I cittadini “eletti”, per contro, anche quando sono minoranza, sono sinceri democratici, intelligenti, riflessivi, sanno discernere sempre e a prescindere il grano dal loglio, non cadono nelle trappole del furbo: sono antropologicamente superiori, nati professori.
Peccato che – a quanto pare – in questa crème de la crème allignino non solo i grandi intellettuali, gli artistoni, i maître à penser, ma anche (e forse soprattutto) i rappresentanti di un ceto economico-finanziario inossidabile, pronto ad ogni alleanza pur di mantenere l’occulto e diffuso potere che ha da decenni: i grandi magnati, le grandi famiglie, le grande banche… Tutti al sicuro in remote stanze ovattate a tirare le fila di un Paese suddito, dove i sudditi nemmeno se ne accorgono di essere tali.
A costoro un parvenu di successo dà un immenso fastidio; erano abituati a spupazzarsi i governi come cosa loro, a seconda delle convenienze, senza imbarazzi ideologici: la miglior politica di destra la fa un governo di sinistra e viceversa.
Erano abituati ai giochi in borsa, alle scalate societarie, alle o.p.a. Spesso coi soldi degli altri, dei minus habentes piccoli risparmiatori illusi, straziati da crack ripetuti; è bastato l’annuncio di un’altra sentenza, di un Giudice monocratico di primo grado, a far schizzare in borsa i titoli di un certo gruppo, rivalutato di milioni di euri in un solo giorno…
Mah, prepariamoci ora al peggio; al peggio che tutti – protagonisti, antagonisti, secondari, fino alle comparse – daranno di sé: gli uni, tronfi e superbi, per dare la mazzata finale, per ridurre l’odiato nemico a girare col cappello in mano a chiedere l’elemosina; gli altri per difendersi come l’ultimo samurai, dimentichi dei propri difetti e magari pronti alla fuga verso lidi più protettivi e à la page.
Come finirà? Perderà l’Italia, perderemo noi tutti; all’estero si staranno già fregando le mani, i nostri spazi economici fanno gola; tanto… non siamo forse fantasiosi e creativi? Ma la pizza, il risotto, i mandolini e la moda non bastano più.
Peccato che la Confederazione Elvetica non abbia velleità di espansione: il confine è così vicino…
Resta la malinconia, che si stende su un cumulo di macerie, fatte di speranze tramontate, di ideali calpestati, di repressa voglia di partecipare, di entusiasmi raggelati.
Ritorna il conformismo, sotto un cielo caliginoso che tutto ottunde e smorza, pegno di solitudine in un immenso gregge.